Tutele crescenti: tra rigidità normativa e correzioni giurisprudenziali
Pubblicato il 18 settembre 2025
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Il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sul contratto a tutele crescenti ha introdotto un sistema rigido e predeterminato che, sin dalla sua applicazione, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale.
La Corte costituzionale, a partire dal 2018, ha progressivamente inciso sulla disciplina, eliminando gli automatismi e restituendo al giudice un ruolo centrale nella determinazione dell’indennità risarcitoria e nell’applicazione della reintegra.
Le sentenze più significative hanno riguardato:
- la declaratoria di illegittimità del criterio fisso di commisurazione all’anzianità di servizio (n. 194/2018);
- l’estensione della tutela reintegratoria anche ai licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, quando sia dimostrata l’insussistenza del fatto materiale (n. 128/2024);
- l’affermazione che la reintegra spetta in tutti i casi di nullità, anche se non espressamente previsti dalla legge (n. 22/2024);
- la caduta del meccanismo sanzionatorio rigido per i vizi formali e procedurali (n. 150/2020).
Da ultimo, la sentenza n. 118/2025 ha eliminato il tetto delle sei mensilità per le piccole imprese, imponendo che l’indennità sia determinata in modo flessibile e adeguato al caso concreto.
ll quadro che emerge è quello di una disciplina smontata pezzo dopo pezzo dalla Consulta, la quale ha sostituito il rigido automatismo originario con una valutazione personalizzata e discrezionale del giudice.
Permane tuttavia un profilo problematico: l’art. 8 della legge n. 604/1966, tuttora vigente per i lavoratori delle piccole imprese assunti prima del 7 marzo 2015, riproduce un modello sostanzialmente analogo a quello dichiarato incostituzionale, creando una disparità di trattamento destinata a riaccendere il dibattito sulla legittimità costituzionale del sistema.
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