Credito IVA e liquidazione giudiziale: analisi AIDC

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Con la norma di comportamento n. 230 di maggio 2025, l’AIDC (Associazione italiana dottori commercialisti) ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità di compensare crediti e debiti IVA da parte dell’impresa sottoposta a liquidazione giudiziale, analizzando anche le possibili soluzioni operative per ottenere il rimborso dell’IVA maturata.

Si premette, ai fini dell’analisi della Norma di comportamento n. 230/2025, una breve sintesi della disciplina sulla liquidazione giudiziale.

Applicazione della liquidazione giudiziale

Con l’introduzione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019), il tradizionale istituto del fallimento è stato sostituito dalla liquidazione giudiziale. Tuttavia, le disposizioni previste dalla precedente legge fallimentare continuano ad avere efficacia per le istanze presentate prima del 15 luglio 2022.

La procedura di liquidazione giudiziale si applica a imprenditori commerciali in stato di insolvenza, escludendo:

  • le start-up innovative,
  • le imprese minori,
  • gli enti pubblici.

Il requisito soggettivo, quindi, riguarda il tipo di soggetto coinvolto, mentre il requisito oggettivo è rappresentato dall’incapacità dell’imprenditore di adempiere con regolarità alle proprie obbligazioni, evidenziata da inadempienze significative, come il mancato pagamento di debiti scaduti per almeno 30.000 euro.

La procedura può essere attivata tramite ricorso da parte di:

  • debitori,
  • creditori,
  • pubblico ministero, oppure
  • autorità amministrative di vigilanza.

La competenza è attribuita al tribunale nella cui giurisdizione si trova il centro principale degli interessi del debitore.

Fasi procedurali

Il Codice della crisi prevede un procedimento uniforme per accedere agli strumenti di risoluzione della crisi e per l’apertura della liquidazione giudiziale (artt. 39-53 Ccii). La procedura si sviluppa nel seguente modo:

  • il tribunale convoca le parti e concede un termine per il deposito di eventuali memorie difensive;
  • acquisisce tramite la cancelleria ulteriori informazioni sulla situazione debitoria, attingendo anche ai dati dell’Agenzia delle Entrate (art. 367 Ccii);
  • se, all’esito dell’udienza, vengono riscontrati i presupposti, il giudice pronuncia una sentenza di apertura della procedura, nominando un curatore e un giudice delegato, fissando altresì l’udienza per la verifica dello stato passivo;
  • i creditori hanno un termine stabilito per presentare la domanda di ammissione al passivo.

La sentenza (o il decreto di rigetto) può essere impugnato con reclamo da presentare entro 30 giorni.

Il curatore ha l’obbligo di notificare ai creditori – o a coloro che vantano diritti su beni del debitore – la possibilità di partecipare alla distribuzione dell’attivo, tramite la presentazione della domanda di insinuazione al passivo.

Effetti dell’apertura della liquidazione giudiziale

L’apertura della procedura determina rilevanti effetti.

  • Per il debitore: perde l’amministrazione e la disponibilità del proprio patrimonio. Gli atti eventualmente compiuti non producono effetti nei confronti dei creditori.
  • Per i creditori: viene inibita ogni azione individuale, sia esecutiva che cautelare. Le richieste di pagamento devono avvenire in concorso con tutti i creditori anteriori, secondo le regole delle cause legittime di prelazione e della parità di trattamento (par condicio creditorum).
  • Per gli atti pregiudizievoli già compiuti dal debitore: se realizzati prima dell’apertura della procedura e lesivi degli interessi dei creditori, possono essere annullati tramite azione revocatoria, che ne determina l’inefficacia giuridica.

Liquidazione e soggettività IVA

Durante lo svolgimento della procedura di liquidazione giudiziale, l’impresa mantiene la propria soggettività passiva ai fini IVA. In base a quanto stabilito dal comma 4 dell’articolo 35 del DPR n. 633 del 1972, continuano ad applicarsi tutte le disposizioni in materia di imposta sul valore aggiunto. Ciò significa che devono essere rispettati gli obblighi relativi all’emissione delle fatture, alla registrazione dei documenti, alla liquidazione dell’imposta e alla presentazione delle dichiarazioni periodiche.

La comunicazione di cessazione dell’attività deve essere trasmessa solo al termine delle operazioni liquidatorie.

Tale orientamento si fonda sul principio di continuità ai fini IVA, secondo cui, salvo diversa indicazione normativa, l’apertura di una procedura concorsuale non comporta automaticamente la cessazione della soggettività passiva del contribuente. Questo principio è richiamato anche nella norma di comportamento dell’AIDC 230/2025, che sottolinea come l’attività liquidatoria non interrompa il rapporto IVA tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria.

In mancanza di specifiche deroghe previste dalla legge, e facendo riferimento all’articolo 35, comma 4, del DPR 633/72, la liquidazione giudiziale assume il ruolo di procedura che ha come obiettivo la tutela della parità tra i creditori (la cosiddetta "par condicio creditorum"). Essa non coincide con la cessazione dell’attività d’impresa, ma si configura come un meccanismo che subentra o si integra con le operazioni di liquidazione già in corso. Questo orientamento è confermato anche dalla circolare n. 26 del 2002 dell’Agenzia delle Entrate.

Pertanto, l’inizio o la chiusura della procedura concorsuale non impongono automaticamente la trasmissione della dichiarazione di cessazione dell’attività ai fini IVA. Tale adempimento è richiesto unicamente al termine delle operazioni rilevanti ai fini dell’imposta.

Compensazione IVA nella liquidazione giudiziale

Nel rispetto del principio della parità di trattamento tra i creditori (par condicio creditorum), non è ammessa la compensazione tra un debito IVA sorto prima dell’apertura della liquidazione giudiziale e un credito IVA maturato successivamente.

Tuttavia, è ammesso il contrario: un credito IVA sorto prima della procedura può essere utilizzato per compensare debiti d’imposta successivi, sia attraverso la compensazione verticale (cioè tra debiti e crediti della stessa imposta), sia tramite compensazione orizzontale (con tributi diversi).

Questa possibilità è riconosciuta sia in ambito tributario, in quanto non contrasta con norme fiscali vigenti, sia in ambito civilistico, poiché non pregiudica gli interessi degli altri creditori.

In particolare, un credito IVA maturato prima della liquidazione e correttamente indicato nell’ultima dichiarazione IVA può legittimamente essere utilizzato per abbattere debiti IVA sorti successivamente. In assenza di specifici divieti normativi, tale compensazione è considerata valida, poiché non altera l’equilibrio della distribuzione patrimoniale tra i creditori.

Compilazione della Dichiarazione IVA e compensazione del credito anteriore

Partendo dalle istruzioni relative alla compilazione della dichiarazione annuale IVA per l’anno in cui è stata avviata una procedura concorsuale (liquidazione giudiziale o coatta amministrativa), la Norma di Comportamento 230/2025 afferma che viene prevista una struttura modulare del modello dichiarativo:

  • il primo modulo riguarda le operazioni effettuate prima dell’apertura della procedura;
  • il secondo modulo raccoglie le operazioni effettuate successivamente, sotto la gestione del curatore o commissario.

Secondo le indicazioni fornite, l’eventuale debito d’imposta derivante dal primo modulo non deve essere incluso nel calcolo del saldo complessivo indicato nel quadro VX della dichiarazione.

Al contrario, un eventuale credito d’imposta maturato nel periodo antecedente alla procedura deve essere sommato algebricamente al credito o debito risultante dalle operazioni successive, contribuendo così alla determinazione del saldo complessivo.

Secondo l’interpretazione dell’AIDC, ne deriva che è ammesso l’utilizzo del credito IVA maturato prima della procedura anche in compensazione orizzontale. Tale credito, infatti, se regolarmente indicato nella dichiarazione dell’impresa successivamente sottoposta a liquidazione, può essere impiegato per compensare imposte di natura diversa sorte nel corso della procedura.

Questa impostazione si basa sull’idea che tale compensazione non viola il principio della par condicio creditorum, in quanto deriva da un credito preesistente, validamente riconosciuto in dichiarazione, e che non comporta un trattamento preferenziale rispetto agli altri creditori.

In sintesi:

  • il debito ante-procedura non confluisce nel saldo IVA complessivo;
  • il credito ante-procedura sì, e può essere compensato con imposte successive (anche diverse dall’IVA);
  • tale compensazione è fiscalmente ammessa e giuridicamente legittima, purché documentata nella dichiarazione.

Rimborso alternativo alla compensazione

La norma di comportamento AIDC 230/2025 evidenzia che, qualora non sia possibile effettuare la compensazione del credito IVA, resta comunque percorribile la via del rimborso, alle condizioni previste dall’articolo 30 del DPR 633/1972.

Le limitazioni stabilite da tale articolo si applicano, infatti, soltanto alle imprese che si trovano in una condizione di ordinaria operatività. Diversamente, nel contesto della liquidazione giudiziale, l’impresa non è più in grado di realizzare operazioni imponibili in misura significativa. In questo scenario, il riconoscimento del diritto al rimborso dell’eccedenza IVA si configura come una conseguenza necessaria e coerente con la normativa vigente.

Secondo un orientamento consolidato della giurisprudenza, già espresso dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 13091/1992, la dichiarazione presentata ai sensi dell’articolo 74-bis del DPR 633/72, finalizzata alla gestione delle procedure concorsuali, può essere considerata equivalente a una dichiarazione di cessazione dell’attività limitatamente agli effetti sul rimborso dell’IVA.

Ciò implica che anche le imprese sottoposte a liquidazione giudiziale, pur non essendo formalmente cessate, mantengono il diritto a ottenere il rimborso del credito IVA in quanto, non essendo operative, non possono utilizzare il credito in compensazione secondo i meccanismi consueti.

Tale equiparazione tra dichiarazione ex art. 74-bis e cessazione dell’attività è stata recentemente riaffermata dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare nelle sentenze n. 24221 del 2024 e n. 36385 del 2022 della Corte di Cassazione. Queste pronunce rafforzano la posizione secondo cui il diritto al rimborso IVA deve essere garantito anche alle imprese non più attive, in quanto priva di operazioni imponibili durante la fase di liquidazione.

Massima conclusiva

Detto ciò si può evincere la seguente massima:

Il debito IVA generato anteriormente all’avvio della liquidazione giudiziale non si compensa con il credito che si genera posteriormente, nel rispetto della par condicio creditorum.

Al contrario, il credito IVA generato anteriormente all’avvio della liquidazione giudiziale è compensabile, sia in senso verticale, che in senso orizzontale, con il debito che si genera posteriormente, in quanto tali compensazioni non ledono il principio della par condicio. In alternativa alla compensazione, il credito IVA può essere chiesto a rimborso a decorrere dalla presentazione della dichiarazione presentata ai sensi dell’articolo 74-bis, D.P.R. 633/1972.

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