Cassazione: niente sequestro impeditivo per le società responsabili ex 231
Pubblicato il 29 maggio 2025
In questo articolo:
- Sequestro impeditivo non applicabile a enti responsabili ex D.lgs. 231/2001
- Il caso esaminato dalla Suprema Corte
- Il ricorso in Cassazione e i motivi di impugnazione
- La decisione della Corte di Cassazione
- Inapplicabilità del sequestro impeditivo agli enti
- Sequestro preventivo applicabile alle società
- Considerazioni sistematiche
- Richiamo al contrario orientamento
- Tabella di sintesi della decisione
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Cassazione: il sequestro impeditivo ex art. 321 c.p.p. non è applicabile alle società imputate per illeciti ex D.lgs. n. 231/2001.
Sequestro impeditivo non applicabile a enti responsabili ex D.lgs. 231/2001
Con la sentenza n. 19717, depositata il 27 maggio 2025, la Corte di Cassazione – Sezione VI Penale – ha precisato che il sequestro preventivo impeditivo previsto dall’art. 321, comma 1, c.p.p. non può essere disposto nei confronti degli enti per i quali sia stata accertata la responsabilità da reato ai sensi del Decreto legislativo n. 231/2001.
Il sequestro preventivo impeditivo, come noto, è una misura cautelare reale che mira a impedire l’aggravamento o la reiterazione del reato mediante il sequestro di beni funzionali all’illecito.
Il caso esaminato dalla Suprema Corte
Il procedimento all'esame della Cassazione trae origine da un'indagine per l’illecita destinazione ad uso privato di carburante agricolo a prezzo agevolato, condotta da una società di persone in violazione della normativa fiscale e doganale, cui si aggiungono ulteriori capi d’imputazione per corruzione propria a carico di alcuni soggetti fisici collegati alla medesima realtà aziendale.
Il Pubblico Ministero aveva proposto appello contro il diniego del sequestro impeditivo dell’intero compendio aziendale, misura ritenuta necessaria a prevenire la reiterazione delle condotte illecite. Il Tribunale del riesame aveva respinto l’istanza, ritenendo non applicabile tale misura nei confronti della società.
Il ricorso in Cassazione e i motivi di impugnazione
Il Procuratore della Repubblica ha impugnato la decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo l’erroneità del rigetto da parte del Tribunale. Secondo il ricorrente, il pericolo di reiterazione, legato anche alla presenza di legami familiari e gestionali persistenti, giustificava l’adozione del sequestro impeditivo, ritenuto necessario per impedire l’uso distorto del patrimonio aziendale.
La decisione della Corte di Cassazione
Nel pronunciarsi sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero, la Corte di Cassazione ha confermato la correttezza della decisione assunta dal Tribunale del riesame, ritenendo infondata la pretesa di applicare alla società la misura del sequestro impeditivo prevista dall’art. 321, comma 1, del codice di procedura penale.
Inapplicabilità del sequestro impeditivo agli enti
Secondo i giudici di legittimità, tale strumento cautelare, pur configurato per impedire la reiterazione di reati attraverso l'apprensione dei beni funzionali alla condotta illecita, non è applicabile alle persone giuridiche.
Infatti, il D.lgs.n. 231/2001 disciplina in modo autonomo la responsabilità amministrativa degli enti per reati commessi nel loro interesse o vantaggio, prevedendo un sistema di misure cautelari specificamente pensato per le persone giuridiche, distinto e autonomo rispetto a quello previsto dal codice di rito per le persone fisiche.
In particolare, le misure cautelari interdittive delineate dagli articoli da 45 a 54 del citato decreto legislativo – tra le quali rientra anche l’interdizione dall’esercizio dell’attività – sono idonee a soddisfare le medesime finalità preventive perseguite dal sequestro impeditivo, risultando peraltro più incisive e strutturalmente adeguate al contesto organizzativo delle imprese.
La Corte ha evidenziato come tali strumenti presentino un’efficacia duratura e generalizzata, rendendo superflua – se non illegittima – l’adozione di ulteriori provvedimenti cautelari patrimoniali di natura impeditiva.
Sequestro preventivo applicabile alle società
A rafforzare tale impostazione, la Corte richiama espressamente l’articolo 53 del D.lgs. n. 231/2001, il quale individua in modo puntuale ed esaustivo le ipotesi in cui può essere disposto il sequestro preventivo nei confronti di enti collettivi.
La dottrina - evidenzia la Corte - ritiene che il sequestro preventivo previsto dall’art. 53, sebbene denominato allo stesso modo, sia profondamente diverso da quello disciplinato dal codice di procedura penale, per finalità, ambito di applicazione e disciplina normativa.
Difatti, l'art. 53 consente il sequestro solo dei beni confiscabili, ossia il prezzo o profitto del reato oppure, in alternativa, beni di valore equivalente, come previsto dall’art. 19 dello stesso decreto.
In tale contesto è stato costantemente rilevato che l’art. 53 del D.lgs. 231/2001 rinvia, per quanto compatibili, agli artt. 321 commi 3, 3-bis, 3-ter, 322-bis e 323 c.p.p., senza includere il comma 1 dell’art. 321 c.p.p., che – come noto – regola il sequestro preventivo impeditivo applicabile nel processo penale alle persone fisiche.
La circostanza - si legge nella decisione - "che l'art. 53 citato non preveda espressamente la possibilità che nel procedimento nei confronti di un ente collettivo possano essere sottoposte a sequestro cose pertinenti al reato la cui libera disponibilità possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, unitamente al mancato richiamo, da parte dello stesso art. 53, della disposizione di cui al comma primo dell'art. 321 cod. proc. pen. (che delle predette cose "pericolose" regolamenta il sequestro) hanno da sempre fatto ritenere che il cd. sequestro impeditivo non possa essere disposto nei confronti di una società ai sensi del d. Igs. n. 231 del 2001".
Da tale disposizione, in altri termini, si ricava con chiarezza la volontà del legislatore di escludere, per le società, il ricorso al sequestro impeditivo disciplinato dall’art. 321 c.p.p., confermando la chiusura sistemica del regime cautelare delineato dal decreto del 2001.
Il ricorso, pertanto, è stato rigettato.
Considerazioni sistematiche
Secondo la Corte, ammettere l’applicazione del sequestro impeditivo alle società equivarrebbe a sovrapporre due regimi cautelari distinti, con il rischio di duplicazione delle garanzie e violazione del principio di legalità.
La volontà del legislatore del 2001 – confermata dalla Relazione ministeriale – è quella di mantenere separate le misure previste dal D.lgs. 231 da quelle del codice di procedura penale, riconoscendo agli enti una soggettività autonoma e una disciplina cautelare specifica.
Richiamo al contrario orientamento
La Cassazione, nella sua disamina, richiama il contrario orientamento giurisprudenziale che ammetteva il sequestro impeditivo ex art. 321, comma 1, c.p.p. anche nei confronti degli enti, in via estensiva, per impedire la prosecuzione dell’attività illecita (Cass. n. 34293/2018).
La sentenza n. 19717/2025 prende le distanze da tale impostazione, giudicandola non coerente con il sistema normativo vigente: le misure cautelari applicabili agli enti collettivi sono esclusivamente quelle previste dal D.lgs. 231/2001, in ossequio ai principi di legalità e specialità.
Tabella di sintesi della decisione
Sintesi del caso | Una società di persone è indagata per l’illecita destinazione di carburante agricolo a uso privato, con contestazioni anche per corruzione a carico di soggetti legati alla stessa. Il PM richiede il sequestro impeditivo dell’intero compendio aziendale, rigettato dal Tribunale del riesame. |
Questione dibattuta | Se il sequestro preventivo impeditivo ex art. 321, comma 1, c.p.p., possa essere disposto nei confronti di un ente (persona giuridica) imputato ai sensi del D.lgs. 231/2001. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte esclude l’applicabilità del sequestro impeditivo agli enti collettivi, poiché il D.lgs. 231/2001 prevede un sistema autonomo di misure cautelari (interdittive e sequestro funzionale alla confisca), che non include il sequestro impeditivo ex art. 321 c.p.p. |
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